Mar 16

Breakfastinthai presents: The Oak Waldorf Inspired School Phuket

The Oak WISP provides holistic education to children in the unique setting of the tropical jungle. Being amidst wild nature enlivens the senses, engages the imaginative world of a child, and allows one to really “breathe”. The natural (indeed divine) order and beauty that exist in nature can ground us and help us to feel connected to the world, to the earth. 

At The Oak, we draw from the principles of Waldorf/Steiner education and the Forest School movement. Our approach to teaching takes the whole child into consideration, for example, the child’s “thinking”, “feeling” and “willing” are addressed together. This means that physical movement & practical activities, as well as art, singing, stories or drama, form the foundation upon which all academic learning is built. In this way, a subject is firstly rooted in the child’s imagination, it sparks their unique creative capacity, perhaps they have even felt it in their limbs and in their environment – then they are able to intellectually approach the subject in an individualised manner, to actually gain something from it, and hopefully contribute something to it too! 

At school we eat fresh organic meals, go on lots of nature walks, and swim in the jungle’s waterfall pools (and occasionally, the sea). A healthy diet, fresh air and enough exercise are healthy for body and soul, and help children to learn!

Activities such as knitting or weaving, sewing, cooking and working in the garden, form an important part of both our primary and preschool curriculum. These are not only useful life skills – they help children to develop concentration, perseverance, problem-solving skills, self-esteem and community-spirit, and they actually help with cognitive development!
As Rudolf Steiner said in 1920: “The more we take into account that intellect develops from the movement of the limbs, from dexterity and skills, the better it will be.” 

In the preschool, the children spend a great deal of time playing freely outdoors, discovering butterflies, grasshoppers, crabs, fish in the river, fruit trees, flowers, giant leaves and endless other wonders in the jungle! 
“Nature is the source of wonder, and the child should be allowed to experience it without any interference” – Rudolf Steiner.

In the primary school, many lessons take place outdoors too. We draw lots of inspiration for our work by observing our environment. We don’t use textbooks, the children take much pride in creating their own beautiful workbooks, complete with coloured illustrations and attention to detail. This helps them to develop a sense of beauty, of mindfulness and care for what they create – and consequently, a more personalised interest in the subject of study.

Mar 12

Breakfastinthai presenta: “La costruzione di una scuola”

Va da sé che mi viene alla mente “la costruzione di un amore” che come canta subito dopo
Fossati “spezza le vene delle mani”. Queste parole sono nel mio cervello da decenni, perché
per costruire una scuola ci vuole tanto amore, che non è un pensiero fisso, ma una costante
che pulsa, a volte di corsa, altre a passo lento. E quando corre, devi correre.
Io e hubby abbiamo fondato un centro educativo qualche anno fa, lavoriamo insieme e non
andiamo tanto d’accordo, io e hubby.  Intanto la scuola si trova nella giungla e fa caldo,
talmente caldo che il mio profumo Chanel n. 5 (il profumo che metteva mia nonna) evapora
dopo i primi due metri mentre iniziamo la salita con i bambini. Quando poi uno dei miei
piccoli vuole essere preso in braccio il sudore mi entra negli occhi e mi chiedo “e perché non
dici di no almeno una volta?”.
Hubby dice: “vuoi la giungla – che non è una domanda – e questa è la giungla!”
Voglio una scuola nella giungla perché i bambini hanno ancora la capacità di riconciliarsi con
l’elemento naturale, e in questo momento storico ne abbiamo un bisogno assoluto.
Riconciliarsi quidni con il percorso della formica, lo strisciare del serpente, lo zampettare del
millepedi, la trasformazione del bruco, la ragnatela del ragno, alla presenza dello scorpione
che non punge se lo osserviamo con curiosità e rispetto.
Voglio una scuola nella giungla perché i bambini passino il loro tempo respirando all’aperto,
all’ombra di alberi maestri centenari che affondano le loro radicii nella terra, che quando è
fine fine sembra polvere e si posa anche in cucina.
Voglio una scuola nella giungla, dove il vento soffia nei capelli e i bambini scendono nel
ruscello a pescare granchi e gamberetti d’acqua dolce per poi lasciarli liberi, dove giocano
sporcandosi di terra fino alle orecchie mentre ridono soddisfatti. E allora nella giungla piove,
alle volte piove dentro poiché i tetti sono costruiti con foglie di albero da cocco, e questa
esperienza ci sorprende e incanta.
Voglio una scuola nella giungla, costruita con materiali naturali, nel rispetto dell’ambiente
che ci circonda, dove la pioggia, il vento, la terra, la polvere deteriorano il legno e il bambú.
Per questo occorre ristrutturare e rinnovare spesso tavoli, scaffali, e le pareti delle strutture
dove facciamo lezione.
Questa è la giungla e piove e ci sono tanti insetti – me lo sono già detto da sola che non vivo
in centro a Manhattan ma a Phuket.
Hubby dice “questa è la giungla” e io la scuola nella giungla la voglio figa. Hubby quindi, pur
non capendo, asseconda i miei piani per amore, perché la costruzione di una scuola questo
richiede, amore.
E così me ne sto zitta e a lui non viene il mal di testa.
Io e hubby davvero non ci capiamo…
To be continued

IMG_9803

IMG_9802

 

Apr 19

Residenza Permanente

IMG_0325Oggi ho ritirato il mio visto, il terzo consecutivo di lungo soggiorno. Ancora con questo visto? Sì, perché dopo il matrimonio e il suo riconoscimento in Italia, è il secondo argomento capace di mandare in tilt il mio sistema nervoso, il sistema simpatico per l’esattezza, protagonista indiscusso nelle situazioni di fuga e di combattimento. In altre parole, prende parte alla risposta somatica in condizioni di stress, e senza fare sconti. In occasione del rinnovo del visto, il mio sistema simpatico risponde all’interrogativo mangia fegato “e se ti rifiutano la richiesta, che fai?” con evacuazioni intestinali di cui non posso parlare oltre, non se ho reso. Anche quest’anno è andata, ora se ne riparla ad Aprile 2017. Sono contenta. Sì. Però. Questo visto mi sta stretto. Io non sopporto di dover richiedere un permesso per vivere con mio marito e mia figlia che sono thailandesi. Inoltre, notificare la mia presenza in Thai all’immigrazione ogni novanta giorni mi sembra follia: e dove dovrei vivere se non con la mia famiglia? Tornare in Italia non è tra i miei piani, io voglio vivere in Thailandia perché è il posto che ho scelto e il “permesso”, io, non lo chiedo a nessuno.

La settimana scorsa, leggiucchiavo qua e là – ambasciata e ufficio immigrazione – poiché i miei lettori, quelli che sognano una vita ai tropici, mi chiedono anche informazioni sul visto in Thai. Due parole attirano la mia attenzione, “permanent residence”, che tradotte dicono davvero poco. Che cosa significa “residenza permanente”? Clicco per approfondire, copio e incollo su google traslate interi paragrafi per orientarmi. Si tratta di un documento che possono richiedere gli stranieri, i “farang”, che vivono in Thai. Permette di stare in Thailandia senza visto e senza effettuare la notifica dei 90 giorni. La richiesta si effettua a novembre, il sito parla di una pratica lunga dove si prevedono alcuni colloqui. Sarà come il film “Green card”, penso. Vorranno sapere se il mio è un matrimonio di convenienza e se Lanna è figlia dei vicini. Ho immaginato che venissero a casa mia a contare gli spazzolini da denti e a chiedere ad Alee dove tengo la biancheria – questo sarebbe un problema, non lo nego! Continuo a leggere e le condizioni per la richiesta sembrano accettabili. Mi stupisco nel constatare che ho tutte le carte in regola: tre visti consecutivi NON IMMIGRANT VISA e coniuge Thai, col quale ho una figlia. Unica seccatura è il rinnovo annuale, che può essere fatto al distretto di polizia vicino a casa. Chiederò informazioni di persona.

FullSizeRender (1)Dopo aver ritirato il mio visto, scendo al piano di sotto per la richiesta del re-entry visa – se voglio tornare in Italia in vacanza, devo comunicarlo alle autorità, pena l’estinzione del visto. No comment. Mentre aspetto il mio turno, mi avvicino all’ufficiale che controlla la documentazione prima di accedere agli sportelli, dicendogli che ho le carte in regola per la permanent residence. Controlla il mio passaporto e mi chiede da quanti anni sono sposata. Tre anni. L’ufficiale mi spiega che: “posso richiedere la permanent residence dopo sei anni di matrimonio. In quell’occasione dovrò dimostrare di leggere e parlare Thai in modo fluente”. Quindi non vi interessa sapere quanti spazzolini da denti ci sono nel bicchiere in bagno e se mio marito sa dove tengo la biancheria? Sul mio viso deve aver letto “ma come stracazzo faccio a imparare sta lingua assurda” poiché in tono paterno mi rassicura: “non si preoccupi, ha ancora tempo”.

Sinceramente, non lo so. Non so ancora se mi rimetterò sui quaderni a scrivere file di lettere come in prima elementare, a imparare la corrispondenza tra segno e suono – ci sono più di cento lettere nell’alfabeto Thailandese – e a mettere insieme sillabe, parole, frasi. Quello che so è che dentro schemi e regole mi manca l’aria. Quello che so è che forse questa può essere l’unica motivazione per imparare il cirillico, parola utilizzata anche per dire “non si capisce un cazzo”.

Mi scuso per il linguaggio brutale.

To be continued…

Feb 29

Lavorare in Thailandia parte I°

IMG_9987Basta con i sentimentalismi. Ho parlato sin troppo di quanto l’incontro con Alee, mio marito, abbia stravolto la mia esistenza. Belle parole, phatos alle stelle, ma poi: “una come te che ha studiato una vita, che cosa fa in Thai?” chiede chi segue il mio blog. Alcuni vorrebbero cambiare vita, cercare lavoro all’estero, e i tropici risuonano come un’alternativa possibile. In questo e nei post che seguono, voglio rispondere alle domande più frequenti sulle possibilità di lavoro in Thailandia, quali: “potrei aprire un ristorante?”, “posso fare il fisioterapista?”, “il musicista?” “qual è la richiesta di lavoro?”, per menzionarne alcune.

L’argomento è difficile da spiegare e da capire, poiché questa è l’altra parte del mondo. Leggi, regolamenti e codici culturali sono impossibili da comprendere, nessuno spiega nulla – la spiegazione in generale non fa parte della cultura Thai! – e i documenti da preparare sembrano non finire mai. Immaginate di fare la spesa in un supermercato affollato con gli occhi bendati, le orecchie piene di acqua e la bocca imbavagliata: ora cercate latte. Io ho cercato lavoro all’interno di questo supermercato portando sulle spalle una carogna che prendeva a morsi pensieri lucidi, aspettative, speranze oltre a quel senso di autostima che a quarant’anni devi aver raggiunto per forza.

Per lavorare in Thailandia occorre un permesso di lavoro, che può essere rilasciato dalla società in cui si viene assunti ma questo prevede accordi già stabiliti: è il caso di chi lavora per grandi multinazionali, ad esempio. Non il mio.

IMG_9963Se cerchi lavoro, la cosa più importante è capire come rimanere sul territorio Thailandese per un lungo periodo, anche solo per cercartelo il lavoro (non è possibile stare in Thai oltre 90 giorni, per questo anche un Visto per turismo dura al massimo tre mesi, poi devi uscire). Il permesso di lavoro va a braccetto – passatemi il termine –  con il visto di soggiorno. Io non sono in grado di fornire istruzioni generali poiché, come già detto, questa è l’altra parte del mondo e ogni caso è a sé e come tale va considerato. Inoltre, il visto viene rilasciato a discrezione dell’ufficiale in turno, che può chiederti anche Marte. Ho compreso regole e documentazione da quando “frequento” regolarmente l’Ufficio Immigrazione di Phuket. Per la pratica che spiego, è possibile affidarsi ad agenzie locali che fanno visti e permessi, io ho preferito fare da sola rischiando l’esaurimento nervoso – vero pure che la mia indole ribelle mi ha impedito di pagare qualcuno per vivere con mio marito. Segue la mia esperienza. Iniziamo.

L’Ufficio Immigrazione di Phuket mi ha rilasciato il permesso di lavoro grazie al mio NON-IMMIGRANT Visa, ovvero un visto di lungo periodo (365 giorni) – risultato di un calvario che non ammette sconti! Prima di partire, l’Ambasciata Thailandese in Italia mi ha consegnato un NON-Immigrant Visa “O” – una sorta di visto per il ricongiungimento familiare – della durata di tre mesi sulla base del certificato di matrimonio datomi dal mio comune di residenza (rimando a un altro post la pratica matrimoniale in Thai, che da ultimo ha visto la trasmissione della registrazione dell’atto matrimoniale da parte dell’Ambasciata italiana a Bangkok presso mio comune). A un mese dallo scadere del Visto, ho seguito la pratica per la richiesta di un NON-IMMIGRANT Visa “O” della durata di un anno.

Di seguito la documentazione in duplice copia da presentare per il Visto: copia della pagina del passaporto con la foto e i dati; copia dei visti precedenti; copia della carta d’imbarco; copia della carta d’identità di Alee; certificato di matrimonio Thai recente (Kor Hor 2, rilasciatomi dal distretto a cui afferisce Kamala, dove vivo). Fin qua, tutto chiaro e intuitivo. Proseguo: copia del contratto d’affitto della casa in cui vivo (e se vivi a casa di tuo marito? Domanda inutile, bisogna sottoscrivere un contratto d’affitto. Il contratto d’affitto deve poi essere depositato all’Ufficio Immigrazione che fornisce una ricevuta dell’avvenuto deposito); copia del deposito del contratto d’affitto; copia della carta d’identità del padrone di casa; copia del book house (una specie di carta d’identità di casa). Attenzione: il numero civico presente sul contratto d’affitto, sulla carta di identità del padrone di casa e sul book house deve essere lo stesso. Perché? Io non vivo col padrone di casa! Non esiste un perché, è così. Prendi o torni in Italia. Infine: fotografie in casa e in esterna con e senza gli sposi; in esterna deve essere presente il numero civico. Nel mio caso, l’ufficiale mi ha chiesto copia del certificato di nascita di Lanna e copia del book house in cui è registrata. E dove è registrata Lanna? Nel book house di Alee. Questa sembra più semplice da capire: in Italia, nel mio stato di famiglia è presente solo Lanna, mentre Alee è residente all’estero. Come se non risultassi nello stato di famiglia di Alee.

La questione dei numeri civici è difficile da comprendere e io, ad essere sincera, mica l’ho mai capita. Sta di fatto che in occasione della prima domanda di visto abbiamo dovuto cambiare casa poiché il proprietario abitava al 38/4 e noi al 40/8. Oggi vivo al 47/7 e il proprietario al 47/6.

FullSizeRender (1)Dal 2014 rinnovo il mio NON-IMMIGRANT Visa “O” ogni anno. Da aprile del 2015 ho il permesso di lavoro e da settembre faccio la psicologa ai tropici. Si procede per gradi e aggiustamenti continui. A chi parte per la Thailandia da solo e senza agganci in cerca di lavoro, io consiglio di richiedere all’Ambasciata Thailandese (a Roma) o al Consolato (presenti in tutte le grandi città italiane) un visto turistico della durata di tre mesi in modo da conoscere e studiare questa realtà che, di primo acchito, sembra chiudere ogni possibilità di integrazione. Infine, è indispensabile armarsi di pazienza, costanza e sangue freddo. Carattere e  motivazione faranno il resto. La mia motivazione si chiama Lanna. Mentre io ho vissuto una relazione a distanza per i primi anni, mia figlia deve vivere con mamma e papà vicino.

To be continued as usual…

Gen 22

Intervista in spiaggia

Pochi minuti e le scelte fondamentali che hanno cambiato la tua esistenza ti passano davanti. Pochi muniti e riaffiorano stati d’animo che avevi dimenticato. E capire che indietro non si torna. Mai. Quando ci sei in mezzo non ci pensi, e io ho cambiato continente come quando prendevo l’autobus per andare al liceo.

IMG_9160Qualche tempo fa è venuta una troupe di giornalisti a intervistarmi: “perché vivi in Thailandia?”. Da qui è partito il mio tempo. Io che ho l’ansia da prestazione anche quando richiedo il biglietto automatico per pagare il ticket all’ospedale, ho attaccato con la voce impostata di chi legge in chiesa, raccontando alla giornalista una storia che si è fermata al primo punto: “sono venuta in Thailandia 6 anni fa e ho conosciuto Alee”.

Non trovavo le parole per raccontarmi. La mia voce sembrava quella dell’operatore telefonico che a tutti costi vuole venderti la promozione, era come se dovessi convincere qualcuno. Chi?

Come è cambiata la tua vita?

La mia vita è cambiata perché ho incontrato Alee e l’amore per quest’uomo non contemplava mezze misure. Semplicemente, dovevo fare le mie scelte.

Come trascorri le giornate in Thai?

La mattina mi sveglio, preparo la colazione, porto Lanna a scuola e vado al lavoro; faccio la spesa al mercato, cucino e mi occupo della casa. Durante il fine settimana andiamo in spiaggia e il sabato sera a mangiare la pizza.

Che cosa consiglieresti a chi volesse fare una scelta come la tua?

Di leggere il mio post “Odi et amo”. Capire come regolarizzare la mia presenza a lungo termine in Thailandia è stato un incubo.

IMG_9148Le mie risposte avevano un gusto “normale” e, a mio parere, sin troppo piatto. Ammetto che non mi sentivo la protagonista di una di quelle storie de “Il fatto quotidiano”, in cui le persone raccontano scelte di vita straordinarie dall’altra parte del mondo. Finché, tralasciando i fatti, la giornalista mi porta indietro nel tempo: dovevo letteralmente sbattere contro quelle sensazioni con cui non facevo più i conti da anni, e il risultato di questo viaggio, fatto di ricordi, ancora mi sorprende. Avevo dimenticato il fuoco che bruciava quando ho acquistato il mio primo biglietto per la Thailandia, quando ho incontrato Alee la seconda volta in spiaggia, quando ho letto il risultato del test di gravidanza. Non ricordavo la sensazione di smarrimento di quando, per la prima volta, ho attraversato mezzo mondo con Lanna saldamente fasciata al mio petto.

IMG_9171Perché vivi in Thailandia? Vivo in Thai perché non ho mai smesso di ascoltare quella voce interiore che si fa sentire quando non succede nulla o quando invece è il caos; perché ho continuato a farmi delle domande  anche di fronte a scelte sin troppo originali. Vivo in Thai perché a un certo punto inizi a vedere quello che si vede e ad ascoltare quel che si sente e poi ad agire in base a quel che sai essere vero. E vero è stato l’incontro con Alee, la nascita di Lanna. Vero è che mi alzo alla mattina per andare al lavoro e al mio ritorno devo riordinare casa. Veri sono il mare azzurro di Phuket e la spiaggia che con la bassa marea sembra un budino caldo che si scioglie sotto i piedi. Vero è che vivo in Thai perché mi piace.

L’ansia da prestazione si è volatilizzata quando ho capito che dovevo rispondere a me stessa e avere il coraggio di poter deludere le aspettative di chi sogna di mollare tutto per vivere ai tropici. Grazie all’intervista ho rivissuto emozioni intense, ricordandomi che ho voluto bruciare di passione mentre percorrevo i miei passi e facevo le mie scelte.

To be contined as usual.

Nov 20

Destino e pesca

DSCN1268Si dice che la mitologia racconti vicende che sono comuni a tutto il genere umano e che aiuti a comprenderne i significati. “Destino” è un termine col quale faccio i conti quotidianamente. Platone, che non è nato ieri, parla del destino nel mito di Er, che pone alla fine della Repubblica, opera scritta circa duemilaquattrocento anni fa. In breve: prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un disegno di vita che poi vivremo sulla terra. Sceglie il corpo, i genitori, il luogo, le situazioni di vita adatte all’anima stessa e corrispondenti alle sue necessità. Inoltre, l’anima riceve un compagno – daimon – che la guiderà. Il destino può essere rimandato, negato, perso di vista, ma alla fine verrà fuori, poiché il daimon non ci abbandona e ha il duro compito di aiutare l’anima a realizzarlo. Il daimon si manifesta nei momenti in cui abbiamo paura, in cui non comprendiamo o ci rifiutiamo di fare qualcosa. “Che cosa vuole il mio daimon?”, me lo chiedo spesso. In Italia, la mia vita filava lineare: liceo, università, specialità, ricerca di un lavoro. Tutto sembrava andare in una direzione precisa, conosciuta, familiare. L’amore, il matrimonio, una famiglia, emigrare non erano nei miei progetti ma il daimon, al contrario, la pensava diversamente.

DSCN1322Avevo quindici anni quando per la prima volta ho preso in mano “Il vecchio e il mare”, un libro ostico, che ho iniziato più e più volte. Ci ho riprovato a vent’anni, ero più matura, ricordo di aver superato la metà. Mi rifiutavo di pensare che il maestro Hemingwai non facesse per me. Santiago, il protagonista, è un uomo di mare, ha la pesca nel sangue e quello che da adolescente non potevo comprendere era il suo orgoglio di marinaio fatto di fatica, sacrificio e lunghe attese. A vent’anni – lo sai quando parti e dove vuoi arrivare o almeno credi di saperlo – non sopportavo che l’eroe di Hemingwai affrontasse con pazienza e determinazione il nulla e il mare aperto. Non capivo l’amore per la pesca e la motivazione che lo spingeva ad affrontare questa difficile lotta ad armi impari contro la natura. In base al mito di Er, il mio daimon era al lavoro, poiché quel libro portava in sé il germoglio di quella che sarebbe stata la mia vita, toccandomi nel profondo, e toccando corde che non ero ancora in grado di afferrare. Oggi, a quarant’anni suonati, il mito di Er mi aiuta a capire le resistenze di allora nel terminare il mio libro: il mondo di Santiago, quel suo modo di affrontare la vita e le sfide che propone avrebbero fatto parte del mio destino.

DSCN1178Da più di due anni vivo a Kamala, un tempo terra di grandi pescatori. Soltanto trent’anni fa, la gente viveva di pesca, una pesca non a strascico e quindi industriale, ma caratterizzata dall’uno a uno, ovvero “un pescatore un pesce”. Tranne la pesca del tonno, per cui si utilizzano delle lenze legate a pesciolini in plastica colorati che si fanno correre a motore sul filo dell’acqua, si utilizza il filo – senza la canna da pesca! – che, con un movimento continuo delle braccia, smuove la lenza, e quindi l’esca. Mio marito appartiene a questa tradizione. A descrivere questo mondo io stessa ne rimango affascinata, ma la pesca ha anche un’altra faccia, inquietante e incomprensibile. La partenza è l’unica certezza: chi va in mare può tornare di notte, il giorno dopo, due giorni dopo ed è un dato consolidato, come l’orario della campanella che suona a ricreazione; chi va in mare vi rimane anche con il temporale, il vento e il mare mosso, come quando si va in ufficio; chi va in mare sa bene che va a combattere una lotta ad armi impari contro la natura; chi va in mare sa che può tornare al porto senza pesce. Chi va in mare ha il viso segnato dalle rughe della fatica e ha la luce negli occhi, come Santiago. Mio marito, sebbene non viva di pesca, ha nel sangue il mare, il sole, la pesca. Durante le grandi manifestazioni, da Kamala partono più di venti long tail boat (la tradizionale barca thailandese, simile a una gondola) e al ritorno il porto si trasforma in una vera e propria sagra, dove si pesa il pesce e si fa spesa. Spesso è capitato che mio marito tornasse nel cuore della notte a causa di un forte temporale: “era impossibile tenere la barca, altri sono ancora fuori”, oppure che tornasse a casa con ventiquattro ore “di ritardo”. A stento trattenevo domande quali “non potevi farmi almeno una telefonata?” che suonavano fuori luogo.

Conosco Alee da sei anni e siamo sposati da tre. Sono andata a pescare una volta soltanto, mentre ho perso il conto di quelle in cui lo aspetto quando fuori è già buio. Io non ho ancora capito il perché delle scelte che facciamo, mentre ho ben chiaro che nel mio presente non può mancare la rete wifi e la possibilità di prendere la macchina e tornare a casa nel giro di poco. Ammetto però che ho iniziato ad accettare l’arresa di fronte alla forza del destino che ha necessità di realizzarsi. Perché il nostro destino si compia, il daimon si mette all’opera sin dall’infanzia e non è possibile sbarrargli la strada. Sin dai tempi più antichi, filosofi e poeti hanno cercato un nome per indicare il destino. Per i latini era il genius, per i cristiani l’angelo custode, per gli eschimesi lo spirito, per gli egizi il Ka o Ba, per i greci il daimon.

Ott 27

Cara Thailandia

Odi et amo. Ti odio, e te lo voglio dire in faccia. Si dice che soltanto dall’odio può nascere un grande amore, ma si dice anche che per andare d’accordo bisogna parlare, quando tu, non sai nemmeno che cosa significa “parlare”.

DSCN0969Ho sposato un uomo delle tue parti e mia figlia è thailandese quanto te. In Italia, mio marito ha un permesso di soggiorno valido dieci anni: può entrare e uscire quando crede, mentre io, per rimanere qua con la mia famiglia, devo rinnovare il visto ogni anno e sto alle regole senza fiatare, io.  Così, anche quest’anno, ad un mese dalla scadenza del visto ho preparato tutta la documentazione – con tanto di foto di me e mio marito dentro e fuori casa! –  e sono andata all’immigrazione. Il dossier è lo stesso dell’anno scorso, non ho né divorziato né mi sono risposata e tu, fredda e calcolatrice come chi crede di essere costantemente derubato, dopo aver visionato tutto almeno tre volte mi guardi dritto negli occhi e vuoi sapere dove si trova mio marito. Mi manca l’aria. Con rabbia vorrei urlarti che “io non ho bisogno di nessuno e che non c’è scritto da nessuna parte che devo rinnovare il visto familiare alla presenza di mio marito”.

Telefono ad Alee che mi raggiunge nel giro di un’ora.

Ora sul passaporto ho il prolungamento del visto di un mese, il tempo che ti serve per le valutazioni del caso, allo scadere del quale devo ritornare all’immigrazione per l’estensione del visto di un anno. Cara Thailandia, te lo chiedo ancora: “ti serve altro?”. Me lo spieghi perché ogni tre mesi devo tornare all’immigrazione per quella che chiami “the 90 days notification?”. Mi sento come un ultrà diffidato che durante la partita deve andare in questura a firmare, un trasgressore che se va avanti così finisce male, un teppistello che devi tenere d’occhio, uno studente che ha bisogno di una raddrizzata. Ma chi sei tu, in realtà? Parla!

Tu non parli, è così e basta.

DSCN0545Cara Thailandia, tu sposi tutti, non ti chiedi che cosa possa trovare di interessante una giovane thailandese in uno straniero di settant’anni; a Bangkok le coppie miste si sposano in processione dopo aver preso il numero alla reception e i testimoni sono la coppia con il numero che segue. Questo, devo ammettere, mi piace di te perché non discuti e te ne freghi: suona di libertà, di vivi e lascia vivere, di che cosa glielo dico a fare. Uno uomo che sposa una thailandese per rimanere in Thailandia deve mostrarti il conto in banca, depositare una consistente somma di denaro per mesi. Chiunque tu abbia davanti, ti riservi il diritto di richiedere informazioni aggiuntive e di decidere chi rimane dentro e chi invece deve uscire. A me, in quanto donna, moglie e soprattutto madre di cittadini thailandesi, hai riservato un trattamento più dolce che però non mi fa sentire sempre benvoluta.

DSCN0613Ogni volta che vado all’immigrazione mi sembra di sostenere l’esame di laurea, anzi peggio: è come se firmassi il consenso informato prima di un’operazione a cuore aperto. Le regole, le tue regole, non sono chiare, gli interpreti traduttori non le spiegano e i pochi blog fondati da stranieri non danno che informazioni parziali, legate all’esperienza di chi scrive. Il tuo inglese fa acqua da tutte le parti, e io troppe volte non capisco e mi sento fuori luogo.

Ho portato tua figlia nel mio grembo per nove mesi, ha i tuoi stessi geni e ora parla la tua lingua. Devi accettarmi per questo.

 

Cara Thailandia,

odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior*.

Debora – Phuket

*ti odio e ti amo. Come possa fare questo, forse ti chiedi. Non lo so, ma sento che così avviene e me ne tormento.

Ott 16

Perché vivo in Thai, parte III°

DSCN1337Alla fine: che ci faccio in Thailandia? Il mio compagno di banco del liceo nonché testimone di nozze – Paolo Zelati – dice che se avessi seguito il suo consiglio di partire per Cuba, non mi sarei fatta ingravidare da un thailandese, motivo, secondo lui, per cui vivo a Phuket. Questa gag alla “Amici miei” è madre di moltissime altre, ad esempio quella in cui mi presenta ad amici a me sconosciuti come “quella che si è fatta mettere incinta da un Thailandese”. Devo però ammettere che, questa gag, un fondo di verità ce l’ha pure. Durante i nostri discorsi, quelli che ti tengono alzato sino a notte fonda, abbiamo analizzato almeno quattro motivazioni che Paolo stesso definirebbe: blà blà blà.

La prima: mentre ero in Italia, Alee mi chiamava spesso, e durante ogni telefonata respiravo il sole di quel Paese che si scioglie al caldo 365 giorni l’anno. Sono tornata a Phuket durante l’estate successiva, volevo vedere Alee ancora una volta. Da allora, per quattro anni ho fatto la spola su e giù per la Thailandia, e a Cuba non ci sono mai stata. L’anno dopo abbiamo fatto domanda di visto turistico per l’Italia, in modo che la mia famiglia potesse conoscere Alee e Alee il mio Bel Paese. Dopo continue richieste di documentazione, colloqui su colloqui, sino alla pretesa che si ripresentasse coi capelli corti – “ma siete tutti convinti che la gente voglia venire in Italia a tirare delle bombe?” mi chiede colpito e, conoscendolo, divertito dalla tiritera – l’ambasciata italiana respinge il visto. Sono andata in Thailandia per le vacanze estive, e sono tornata incinta, seconda motivazione, l’unica plausibile che sembra sentire Paolo.

IMG_1311La terza è subito dietro l’angolo: dovevamo sposarci – in Thailandia per ovvi motivi! – e fare tutti i documenti per tutelare nostro figlio o nostra figlia che doveva avere la doppia nazionalità. Dall’Italia ho prenotato gli appuntamenti in ambasciata a Bangkok e, in “cinque mesi suonati”, sono partita  col mio fratellone e Paolo naturalemente, che non poteva perdersi il matrimonio dell’anno.

Mia figlia si chiama Lanna (si pronuncia Lannà, nome thailandese che significa preziosa), è nata il due aprile del duemilatredici e Alee è stato in Italia sei mesi. Con la famiglia al completo – quarta motivazione – da novembre 2013 vivo in Thailandia, a Phuket.

Rispetto a molte storie di persone che hanno lasciato il Paese d’origine, io non sognavo paesi tropicali, non ho fatto esperienze prolungate di vita all’estero – non mi è mai interessato nulla di tutto questo – e non ho mai desiderato un cambiamento di simile portata. Paolo lo sa bene: io non ho mai pensato di sposarmi e avere dei bambini.

Dal mio primo viaggio in Thailandia sono successe molte cose, e io le ho vissute fino in fondo senza farmi troppe domande: l’amore per Alee, la gravidanza, il matrimonio e infine la nascita di Lanna. Semplicemente, le cose accadono in un tempo ben preciso. Credo che per qualsiasi persona a un certo punto arrivi il tempo di scegliere e sta tutto qua. Io sono partita perché era il tempo: anche se avevo ancora tante cose da fare, anche se non ero pronta e avevo paura. Era tempo di andare, non perché mi andasse, non perché era il periodo buono, non perché la mia vita fosse tutta a posto e in ordine. Questo non accade mai. La semplice verità, nonostante tutto quello che ci possiamo raccontare, è che quando è tempo è tempo e si deve andare. Così ho fatto io.

Devo infine ammettere che il tempo più importante, che ha scandito cambiamenti e decisioni, sia stato quello del concepimento di Lannà…ma io anche sotto tortura avanzerò le mie motivazioni blà blà blà.

Ott 09

Donne e buoi dei paesi tuoi: me l’hanno detto spesso!

La prima volta che sono partita per una vacanza in Thailandia i miei più cari amici (quelli del liceo, quelli che la cattiveria ce l’hanno nel DNA e con i quali anche dopo 20 anni ti ostini a condividere gli eventi essenziali della vita) sono stati chiari: “smetti di fumarti delle canne e stai coi piedi per terra. Non puoi stare via un mese intero, come fai col lavoro?”. Quando sono tornata dal mio secondo viaggio e ho raccontato di essermi innamorata di un thailandese, hanno perso la ragione: “sei passata ai funghi allucinogeni? Perché non ricominci a fumare le canne?”. E poi giù con mille “questo vuole i tuoi soldi”, “pensa già di aver attaccato il cappello”, “vuole solo venire in Italia” e non da ultimo “perché non parti per una vacanza a Cuba?” con una sottile vena ironica che parla da sé. Non me ne hanno risparmiata mezza. Un paio d’anni dopo, li metto di fronte al fatto compiuto: “sono incinta, mi sposo con Alee a Bangkok. Chi vuole venire? Ad aprile partorisco e quando la bimba o il bimbo avrà sei mesi ci trasferiamo”. Devo dire che in quell’occasione hanno reagito con raffinatezza e buon cuore, sebbene in seguito, si sfiorassero questioni densissime di significato e paure: “vai a Phuket? E che cosa farai laggiù? Hai studiato una vita per andare a vivere dove non c’è niente?”; “Sarai da sola, con una bimba piccola e senza l’aiuto dei tuoi genitori”. E infine la più pungente: “la vita di coppia è difficile, voi neanche parlate la stessa lingua. Donne e buoi dei paesi tuoi, ti dice niente?”.

Ho conosciuto Alee a Phuket nel 2010 e tre anni dopo ho fatto il botto: matrimonio, ho partorito la nostra bambina e mi sono trasferita. In un colpo solo ho affrontato tre tappe fondamentali della vita di una donna, durante le quali difficoltà, solitudine, depressione sono lì fuori dalla porta.

IMG_0607L’incontro con Alee ha stravolto la mia vita. Avete mai letto sul web di quelle persone che hanno lasciato la casa, il lavoro, decidendo di vivere del proprio orto magari attraverso il baratto? Che non usano lo shampoo per i capelli, e il sapone se lo fanno loro? Che in contatto con la natura hanno ritrovato un senso di libertà e di pace interiore? Che non tornerebbero mai più a vivere in case di cemento e ad utilizzare la macchina? Ecco: vi presento Alee, o almeno il suo spirito. Non possiede uno smart phone, non utilizza Skype, va in giro senza orologio. Mangia solo riso e il pesce pescato da lui stesso o al massimo da qualche fidato amico. Non beve caffè, birra, non fuma. Non gli piacciono i ristoranti e i locali affollati. Alee respira il profumo dell’aria e mi dice che ore sono, guarda il cielo e capisce se verrà a piovere. Parla con gli animali e si intendono – l’ho sentito con le mie orecchie. E’ un uomo d’altri tempi, legato alla terra e al mare, solitario e di poche parole.

Io invece vengo dai “paesi tuoi”: ho Iphone, Ipad e computer; utilizzo Skype e whatsapp anche quando sono al gabinetto; mangerei solo pizza, patatine e maionese; amo il caffè ristretto e amaro; adoro i locali affollati, la musica alta e mi piace fare tardi; ora sono le 11 del mattino perché il sole è alto e il mio orologio segna le 11. Sono il risultato di tutto ciò che l’occidente e il progresso hanno messo insieme, sono legata al pensiero e alla poesia scritta. La domanda viene da sé: che cosa ci faccio con una persona come Alee? O lui con me, si intende. Donne e buoi dei paesi tuoi.

IMG_0413

Alee è una notte serena d’estate, un uomo in pace con se stesso ;  io il sole d’agosto che picchia forte – sulle croste direbbero i miei amici – ansiosa, assillante, ripetitiva. Mi piace descrivere Alee come un principio, nel senso di essenza. Inoltre, mi piace pensare che esistano mille modi diversi di essere donna e mille altri di essere uomo: poniamoli su un continuum, lungo il quale ci siamo io e Alee.  Dieci anni fa, lo Tsunami gli ha portato via tutto, la casa, la barca. Era in spiaggia quando un’onda di dieci metri dopo poco ha devastato tutto. Dieci anni fa, io mi iscrivevo alla scuola di specializzazione per diventare psicoanalista. Ammetto che avevo molte più cose in comune col mio ex, che abitava nella mia stessa città, che dopo il master aveva ottenuto un contratto a tempo indeterminato.

Donne e buoi dei paesi tuoi, mi hanno detto spesso gli amici. Non mi hanno però mai detto che quest’uomo dell’altra parte del mondo non mi avrebbe mai fatto sentire da sola durante la maternità; che mi avrebbe svegliato per la poppata notturna quando io nemmeno capivo di essere al mondo; che durante lo svezzamento avrebbe preparato la prima pappa; che l’avrebbe addormentata ogni volta che il seno non sarebbe bastato. Non mi hanno mai detto che quest’uomo silenzioso e solitario si sarebbe messo a cantare per far ridere la sua bambina e che l’avrebbe consolata ballando; che le avrebbe fatto sino a cinque bagnetti al giorno per darle ristoro dal caldo soffocante. Non mi hanno mai detto che le avrebbe scelto lui stesso dei vestitini nuovi.

Donne e buoi…

 

Mar 17

Il Lettino

Image-1Sarà la mia indole ribelle, sarà che ho un’innata passione per le cose che “non si fanno”, sarà che adoro trasgredire che io le “sbarre” proprio non le tollero. Ho una naturale insofferenza per le sbarre, qualsiasi esse siano. Da giovane scavalcavo i cancelli degli stadi per seguire i concerti da sotto il palco, tiravo il motorino a chiodo per evitare la chiusura del passaggio a livello passando all’ultimo coricata sul manubrio. Quando lavoravo in comunità coi ragazzini sotto tutela, spiegare loro che dovevano stare “dentro” era uno sforzo incredibile, al quale sottostavo per il loro bene, ma a un costo eccessivo per la mia anima.

La questione si è ripresenta quando è arrivato il momento di mettere mia figlia nel lettino, il mio pensiero non riusciva a formulare altro: io dietro le sbarre non ce la metto. Eppure quale altra alternativa avevo?

unnamedSono tornata in Thailandia quando Lanna aveva sette mesi e devo ammettere che si è abituata al tuttonuovoinunavolta con qualche difficoltà e il sonno è uno degli aspetti che ne ha risentito maggiormente. Durante il primo mese si attaccava al seno molto spesso e talvolta per qualche ora: mi sembrava di essere tornata in dietro di 6 mesi! Di notte, quando la mettevo nel suo lettino e si sentiva spostare, si svegliava subito, anzi prima di subito. Finché una sera mio marito dispone a terra un materasso di una piazza e mezza, alto poco più di quattro dita. Mette le lenzuola, sistema due cuscini ai lati e il dudù: io non ce la metto lì sopra neanchepertuttol’orodelmondo, ho pensato! Di fronte a questa novità ho puntato i piedi poiché non potevo accettare un cambiamento di questa portata: anche se è contro la mia indole, i bambini devono dormire nel loro lettino e lo dico io e quel vivace gruppetto di mamme che ho nella testa da tempo o schemi mentali o chiusure culturali o come si chiamano.

Avevo letto, non ricordo più dove, che è consigliabile non prendere il bambino nel lettone con mamma e papà durante i risvegli notturni, mentre è preferibile che sia la mamma a coricarsi di fianco al bambino per tranquillizzarlo o per la poppata – e chi l’ha detto che il co-sleeping si fa solo nel lettone? Io questa cosa non la ricordavo, certo è che nel mio caso ha funzionato e ho risolto il problema del sonno mettendo mia figlia a dormire in terra, come si usa in Thailandia. Ora quando si sveglia mi corico di fianco evitandole giri inutili dentro e fuori il lettino. Se evitare l’utilizzo di poltroncine, girelli, box, ecc. stimola lo sviluppo psico-motorio, credo che il contatto a terra anche durante le ore del sonno infonda tranquillità e senso di pace al bambino che si tranquillizza e dorme più a lungo. Dobbiamo ricordare che per gli antichi la terra era simbolo della grande madre, era considerata la madre di tutte le madri ed è come se affidassimo il nostro bambino o bambina nelle braccia di qualcuno di più saggio ed esperto. Quindi: quale culla migliore della madre di tutte le madri?

Sembra quasi che fuori dalle mie rigidità culturali ci sia qualcosa di interessante da scoprire, e che il contatto con culture diverse sia fonte di ispirazione.

Vita da mamma in Thai…to be continued..

Post precedenti «

%d blogger cliccano Mi Piace per questo: