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Nov 08

I no che fanno crescere: ma come si fa?

  • “Mio figlio non capisce quando gli dico no. Ma tu che sei psicologa come fai?”

  • “…”

  • “Quando una cosa non si può fare non si fa, o no?”

  • “Ti andrebbe un caffè?”

Quando mi confronto tra mamme e mi vengono fatte delle domande dirette, tendo a spostare la conversazione, poiché il mio lavoro o i miei studi non fanno di me una mamma più acuta rispetto alle altre. Inoltre, un buon caffè è un buon caffè, e non si discute…

A proposito dei “no”, facciamo un esercizio, mettiamoci nei panni dei nostri bambini, liberiamo la mente e:

  • “ NON pensiamo a un cane rosa!

  • Ho detto di non pensare a un cane rosa NO, NO e poi NO, non si fa e se dico di NO è NO, chiaro?

  • Insomma basta, ho detto di non pensare a un cane rosa, che cosa succede?”.

Succede che abbiamo pensato a un cane rosa. Abbiamo fatto la stessa cosa che fanno i nostri figli tutte le volte che diciamo loro di non fare una cosa. In realtà, non “abbiamo disobbedito”, anzi, siamo in perfetta sintonia con l’attività del nostro cervello che, peraltro, funziona benissimo. Quello che emerge da questo esercizio è quello che c’è da sapere: il nostro cervello non capisce il no, è organizzato in modo tale che non comprende la negazione. Noi adulti siamo più veloci, capiamo quando non dobbiamo mangiare un cibo, bere una bevanda, stare alla larga da un pericolo o rispettare un divieto in quanto abbiamo esperienza, ne abbiamo memoria, abbiamo imparato a conoscere e, col passare del tempo, siamo diventati sempre più consapevoli di ciò che accade attorno a noi. Quando, ad esempio, diciamo ad un bambino “non ti muovere”, il suo cervello registra “muoviti” e “non”, ovvero due diversi messaggi che si contraddicono l’un l’altro. In altre parole, capisce “muoviti”. In più, spesso, molte situazioni sono ad alto impatto emotivo: il pericolo che il bambino si faccia male è reale, la preoccupazione genera tensione, ci arrabbiamo e alziamo la voce. In questo modo, si crea una confusione ancora maggiore nella testa del bambino, il quale non è nella condizione di comprendere e di agire di conseguenza.

Tra gli otto e i dodici mesi i bambini pronunciano le prime parole, ma già da qualche tempo utilizzano tutti i cinque sensi per imparare. Lo sviluppo del linguaggio inizia presto ed è graduale: comprende parole, gesti, significati, é un’impresa appassionante ma non sempre facile. Un bambino che vuole fare da solo, che trasgredisce, che “si impunta e non molla” è un bambino vivace e sano (a meno che non vi siano diagnosi di disturbo cognitivo o di personalità). La questione è dunque spinosa: come trasmettere regole e divieti che vengano capiti e messi in atto poiché “no” e “non si fa” non funzionano (almeno non funzionano sempre!)? Sembra infatti che i “no che fanno crescere” portino a ben pochi risultati, mentre abbiano effetti migliori esperienze “positive” del divieto.

Secondo gli esperti dell’età evolutiva, perché un’esperienza sia positiva e produttiva per un bambino – a noi interessa che nostro figlio/figlia non faccia una determinata cosa!- è essenziale: scandire bene le parole perché capisca; comunicare con tono pacifico per non creare tensione; guardarlo negli occhi per avere la sua attenzione. Ad esempio, pensiamo a quando impariamo una lingua straniera, un programma del computer o quando acquistiamo un cellulare e dobbiamo capire come funziona: abbiamo bisogno di istruzioni chiare e un ambiente tranquillo per concentrarci e imparare delle cose. Far capire a un bambino – soprattutto se ha tra i dodici mesi e i tre o quattro anni- che una cosa non si deve fare, è un’impresa difficile, e casa nostra, il parco o il centro commerciale spesso diventano una palestra di lotta libera!

Io mi arrangio con un semplice gioco, che richiede un pizzico di creatività da parte mia e che con mia figlia, che ha un anno e mezzo, il più delle volte funziona. Quando fa qualcosa che non può, se le condizioni me lo permettono, mi esercito a fare del divieto “un’esperienza positiva”. In pratica, proibisco, vieto, do delle regole ma senza utilizzare le parole “no” e “non” – ricordo che da piccola facevo un gioco analogo in cui chi rispondeva sì, no, bianco e nero perdeva! In pratica: quando vuole prendere in mano il coltello dico: “ questo lo puoi utilizzare a nove anni”. Idem col caffè, il cacciavite o qualsiasi cosa dimentico per casa; quando vuole camminare in mezzo alla strada: “solo le macchine possono passare di qua, le persone e i bambini stanno sul marciapiede”; quando vuole toccare un gattino che non conosciamo o un bambino nella culla: “ fai una carezza piano, con molta dolcezza”; quando vuole mettersi la mia crema: “ questa è della mamma e questa è di Lanna!”. A volte mi limito a descrivere la cosa che vuole toccare: “ la presa della luce ha i buchi troppo piccoli per le tue ditina”; “ la cariola è pesante”; “ la pappa scotta ancora”. Non é sempre facile, spesso mi escono delle frasi davvero assurde! Una volta, dopo una giornata di lavoro, fuori dal supermercato, carica di borse, la pioggia e con la mia bimba che non ne voleva sapere di entrare in macchina ho detto: “Lanna si bagna i capelli”, ancora non capisco il motivo, ma queste parole, pur lasciandola incredula, hanno dato i loro frutti ed è entrata in macchina.

Credo che funzioni la voglia di comunicare con la mia bambina secondo un linguaggio semplice e chiaro e la mia volontà di farle riconoscere i pericoli, in modo che possa muoversi in libertà nello spazio utilizzando le cose che incontra nel suo percorso di crescita.

Quindi, unica regola del gioco: non utilizzare “no” e “non” … anzi entriamo nel gioco da subito: utilizziamo tutte le parole tranne le impronunciabili … che il nostro cervello é in grado di capire solo ad un certo punto dell’esistenza.

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